IL SOROPTIMIST
INTERNATIONAL D'ITALIA
CLUB VALLE D'AOSTA
Accogliendo l'invito del M.I.U.R. e della Presidenza del
Consiglio - Dipartimento per le Pari Opportunità - sul tema:
"Le studentesse vogliono contare! Il mese delle STEM", ha realizzato il
seguente
Progetto
Contatto con alcune Donne
(laureate in Fisica e Astrofisica, Matematica, Biologia e Biotecnologie, Ingegneria) disponibili a testimoniare le
loro esperienze formative prima e lavorative poi, in modo da mettere in rilievo
sia gli aspetti positivi che le criticità delle loro scelte.
Periodo
8 marzo 2016 - 11 aprile 2016
Titolo dell’iniziativa
"La scuola e la formazione scientifica nelle discipline
STEM: testimonianze per l' orientamento alle scelte delle facoltà
universitarie"
Svolgimento del progetto:
Si invitano alcune Donne a dare
una testimonianza scritta circa la loro
formazione scientifica e il lavoro
svolto in diversi campi scientifici
(ricerca, docenza, imprenditoria...)
Fasi successive previste:
·
Raccolta delle testimonianze ricevute.
·
Successiva pubblicazione a livello nazionale per
rendere disponibili le testimonianze al fine di orientare nelle scelte
universitarie le studentesse interessate alle discipline scientifiche.
Donne - testimoni che
hanno aderito al Progetto proposto.
MANUELA Z.
Laurea in Ingegneria Nucleare
Dirigente presso ARPA VDA - Agenzia Regionale per la Protezione
dell'Ambiente Valle d'Aosta.
PAOLA V.
Laurea in Fisica
Docente di Matematica e Fisica nella Scuola superiore.
CLARA D.V.
Laurea in Biotecnologie e per la ricerca medica
Ricercatrice in campo Biomedico.
PAOLA S.
Laurea in Matematica
Docente di Matematica
GIOVANNA G.
Laurea in Scienze dell’Informazione
Imprenditrice
STEFANIA A.
Laurea in Fisica - specializzazione in Fisica medica
Responsabile della fisica sanitaria presso l'Ospedale "U.
Parini" di Aosta.
LUCIA C.
Laurea in Fisica
Consulente indipendente
GABRIELLA T.L.
Laurea in Fisica
Docente di Matematica e Fisica nella Scuola Superiore.
SIMONETTA
Laurea in Ingegneria chimica
Ricercatrice universitaria
LE
TESTIMONIANZE.
Testimonianza 1
Sono
Manuela Z. E’ nel luglio dell’80 che ho conseguito la maturità scientifica e
che si è trattato di decidere il futuro percorso universitario. A quel tempo si
aveva ancora tutta l’estate per valutare la facoltà cui iscriversi, ben inteso
per quelli, come me, che ancora avevano qualche dubbio sulla scelta. Ero, come si usa dire, “portata” per le
materie scientifiche. Studiavo molto volentieri e con passione matematica e
fisica. L’orientamento quindi, quasi
naturalmente, mi portò a scegliere una facoltà scientifica. Fui per un po’
indecisa tra fisica e ingegneria. Poi optai per ingegneria indirizzo:
nucleare. Ritenni che questa facoltà
unisse il mio interesse di studio e le mie curiosità scientifiche con le
maggiori opportunità di lavoro. E così è stato. Delle numerose offerte di
lavoro che, in quegli anni, noi abbiamo avuto la fortuna di vederci proporre,
decisi di dedicarmi al monitoraggio ambientale con particolare riferimento alla
qualità dell’aria e alla radioattività. Mi ero infatti laureata poco dopo
l’incidente alla centrale nucleare di Chernobyl (1986) e la sensibilità
dell’opinione pubblica per i temi della tutela ambientale ebbero in quel
periodo un sensibile aumento. Il mio percorso lavorativo mi ha vista quindi
scegliere di lavorare in quegli enti che avevano il compito di investigare e
studiare gli impatti delle attività umane sulle matrici ambientali. Questo ha
significato occuparmi di ricerca e applicazione di tecniche in grado di fornire
conoscenze sempre più complete e in evoluzione, in grado di produrre una base
informativa sia a supporto degli eletti nelle definizione di politiche di
gestione del territorio sia per i cittadini.
Non
ho mai risentito nel mio percorso universitario – in quegli anni dominio quasi
esclusivamente maschile - di differenze di genere; anzi tutte noi
ragazze iscritte ad ingegneria al Politecnico di Torino (intorno al 10% del
totale degli iscritti al primo anno di CMN) abbiamo completato il corso di studi e intrapreso una carriera
lavorativa con successo. Personalmente non ho avuto difficoltà né subito
discriminazioni nel mondo del lavoro e sono riuscita a conciliare l’impegno
lavorativo con quello famigliare. Sono infatti sposata e ho due figli. Sicuramente ci sono stati momenti molto
impegnativi soprattutto quando i bambini erano piccoli e richiedevano maggiori
cure e tempo. Ma questa è una nota questione che riguarda tutte le lavoratrici
e che tuttavia non ci deve dissuadere dall’impegno professionale.
Consiglio a tutte le ragazze che amano le
scienze, le matematiche e le tecnologie
di lasciarsi travolgere dalla passione per queste discipline, senza quel timore
che talvolta nasce innanzitutto da noi stesse perché ci facciamo influenzare da
un contesto culturale che ancora considera troppo difficili e onerose le
STEM per una donna che non vuole
rinunciare anche al suo ruolo di mamma.
La
forza del sapere scientifico apre molte opportunità di affermazione
professionale e personale che vale la pena di cogliere.
Testimonianza 2
Sono Paola V. e nella mia storia scolastica, fino alle scuole superiori,
l’interesse scientifico era limitato alla biologia. Mi interessava molto di più
la lettura e lo studio della storia e delle civiltà. E’ stata perciò naturale
l’iscrizione al Liceo Classico, che prometteva di potenziare le mie capacità e
conoscenze a livello linguistico e letterario, non solo in italiano e francese
ma anche in latino e greco.
Sin dal biennio superiore però l’incontro con Docenti di Matematica,
preparati e motivanti, ha fatto sì che cominciassi a provare gusto nel
cimentarmi con i problemi algebrici e geometrici: in questi ultimi trovavo
interessante ed intrigante la possibilità di coniugare la capacità di analisi
dei dati con la dimostrazione delle tesi e l’argomentazione dei risultati.
Nel triennio liceale poi, l’incontro con la chimica, la fisica e la
filosofia è stato fondamentale per la scelta dei miei studi scientifici futuri.
Dopo la maturità classica infatti ho scelto di iscrivermi a fisica, in quanto
mi sembrava la disciplina che meglio potesse coniugare i miei interessi e
curiosità per i fenomeni naturali, per la storia e l’evoluzione del pensiero
umano, per il rigore scientifico, per il desiderio di rispondere ai “perché”,
per il piacere di conoscere gli innumerevoli collegamenti tra la cultura
umanistica e quella scientifica.
I quattro anni all’Università, soprattutto all’inizio, sono stati
impegnativi, poiché la preparazione matematica di uno studente in uscita dal
Liceo Classico nel ’69 non era così completa e non sempre sufficiente per
rispondere alle esigenze della facoltà che avevo scelto. Sicuramente le
richieste che oggi vengono fatte nelle discipline scientifiche ad uno studente
del Liceo Classico sono più adeguate e performanti per una scelta universitaria
a livello scientifico, come quella nell’ambito delle S.T.E.M..
La mia motivazione però era forte e lo studio duro ma appagante a
livello culturale e formativo alla fine ha dato i suoi frutti.
In Università ho imparato a coniugare l’aspetto teorico e quello
sperimentale delle discipline scientifiche e ho conosciuto il piacere
dell’approccio sperimentale e della
“scoperta”: in particolare ho apprezzato la dimensione del lavoro in
équipe, il confronto tra idee e modi diversi di analisi dei problemi e della
loro risoluzione. Ciò ha arricchito anche la dimensione umana e sociale della
mia conoscenza e della mia crescita.
La scelta di una tesi sperimentale in bio-fisica ha infine completato il
panorama della mia storia universitaria.
La formazione e gli interessi, insieme alle esigenze personali, mi hanno
portato a scegliere di dedicarmi all’insegnamento: ho insegnato Matematica e
Fisica nella Scuola superiore.
Il contatto umano con i giovani, la convinzione che il mio compito di insegnante
fosse quello di “facilitatore” e “guida” nell’apprendimento, il lavoro in
gruppo tra colleghi, anche di discipline diverse, sono stati filo conduttore
della mia esperienza lavorativa.
Ho concluso la mia carriera insegnando in un Liceo classico: sono
tornata quindi alle origini e ai vecchi “amori”. In particolare ho sperimentato
con molti colleghi di discipline diverse la valenza formativa di un approccio
didattico che metta in rilievo, nella diversità, l’unitarietà e completezza del
sapere piuttosto che la frammentarietà delle conoscenze. Nella professione
credo di aver utilizzato e messo a frutto le molte novità portate dalla mia
formazione universitaria e personale: l’interesse per la filosofia della
scienza e per le sue implicazioni sociologiche, l’attenzione al rigore metodologico, al rispetto dei dati,
alla comunicazione e condivisione dei risultati.
Il tutto è stato condito dalla curiosità, dalla voglia di “mettersi in
gioco” e di lavorare con e per gli altri, ingredienti che secondo me dovrebbero
essere sempre presenti in chi si prepara a fare scelte per la sua formazione,
per il lavoro, per la vita.
Testimonianza 3
Mi chiamo Clara, sono una ricercatrice in campo
Biomedico.
Fin da piccola ho avuto una propensione per le
materie scientifiche piuttosto che per quelle umanistiche, mi piaceva giocare
col microscopio ed ero affascinata dalla Biologia. Pertanto, dopo le medie,
scegliere di frequentare il Liceo Scientifico ad indirizzo Chimico Biologico è
stata per me una scelta quasi ovvia.
Terminati gli studi superiori è arrivato poi il
momento di entrare nel mondo dell’Università. Nonostante il mio interesse per
la Medicina, non ero tuttavia particolarmente attratta dal rapporto con il
paziente, ma nutrivo un profondo interesse per ciò che è alla base della vita:
la cellula e i suoi complessi meccanismi molecolari. Ho deciso quindi di
iscrivermi al Corso di Laurea (prima triennale, poi specialistico) in
Biotecnologie Mediche e per la ricerca biomedica. Sono stati anni intensi, le
nozioni apprese tantissime e gli esami sembrava non finissero mai. Per fortuna,
sia durante il Corso di Laurea triennale che durante la Laurea Specialistica,
ho dovuto redigere una tesi sperimentale, che mi ha dato finalmente modo di
mettere in pratica le conoscenze acquisite e di appassionarmi alla ricerca ed
all’attività di laboratorio. Una volta laureata ho avuto la fortuna di vincere
un concorso per il Dottorato in Medicina Molecolare con una borsa di studio
ministeriale, un passaggio obbligato per chi vuole crescere nel mondo della
ricerca. Terminato il Dottorato ho vinto una borsa di studio annuale e poi un
assegno di ricerca di durata quadriennale in un altro laboratorio.
Foto
d' Archivio Agroinnova
Per mancanza di fondi purtroppo anche quest’ultima
esperienza si è conclusa ed ho dovuto cercare lavoro altrove. Dopo qualche mese
di disoccupazione, ho finalmente trovato un altro laboratorio pronto ad
accogliermi con un contratto triennale.
Per me il mio lavoro non è soltanto un lavoro, ma è
una passione. Credo che per qualsiasi lavoro, ma soprattutto per questo, la
passione sia fondamentale. E’ un lavoro duro, ma che se piace è molto
appagante. Si è continuamente messi alla prova, bisogna essere costantemente
informati su quello che altri gruppi di ricerca fanno, bisogna avere creatività
ed inventiva per pensare a progetti innovativi ed esperimenti per dimostrare la
propria ipotesi. Purtroppo, nonostante il mio amore per la ricerca, devo
ammettere che non è tutto oro ciò che luccica. Spesso i risultati attesi non
arrivano, bisogna provare, riprovare. Bisogna fare i conti con le scadenze da
rispettare e spesso i soldi a disposizione per acquistare il materiale per
poter fare gli esperimenti e per avere uno stipendio scarseggiano.
Quando ho intrapreso il mio percorso all’Università
sapevo che sarebbe stato difficile trovare lavoro in questo campo, ma in fondo
speravo che le cose sarebbero cambiate in Italia. Sì, effettivamente le cose
sono cambiate, ma in peggio. Attualmente il sogno di avere un contratto a tempo
indeterminato, la stabilità e sicurezza economica che hanno avuto i miei
genitori rimane un’utopia. Ed in questo contesto diventa difficile riuscire a
pensare serenamente di costruirsi una famiglia. Credo sia un pensiero comune a
tante donne che, come me, hanno intrapreso questo percorso. Il futuro incerto e
gli orari di lavoro, sicuramente non da ufficio, rendono difficile la vita di
una donna-scienziato, che per natura rimane anche casalinga, cuoca, moglie e,
si spera, un giorno anche mamma. Bisogna essere forti, organizzate ed, a volte,
anche un po’ incoscienti con una certa noncuranza per il futuro.
Credo sia indispensabile nella vita di tutte
seguire le proprie ambizioni e le proprie passioni, avere perseveranza e
pazienza.
Nella scelta dell’Università credo sia essenziale
seguire le proprie predisposizioni. Ritengo sia importante scegliere una
facoltà che piaccia, per rendere più leggero il carico di studio da affrontare.
L’Università poi ha il compito di formarci per la professione che dovremo
svolgere ed avere un lavoro che ci soddisfi è essenziale per poterlo rendere,
in un certo senso, più leggero, permettendoci di affrontare al meglio anche le
altre sfide quotidiane che ogni donna deve affrontare.
Testimonianza 4
Matematica che passione!
Facevo la terza elementare quando mi innamorai di questa
disciplina così invisa a tanti studenti.
La geometria mi sembrava molto affascinante, i problemi
mi parevano un gioco e non capivo perché
alcune mie compagne di classe li trovassero difficili!
Al termine delle scuole medie, ero decisa a frequentare il
liceo scientifico, tuttavia alcune amiche più grandi di me mi suggerirono di iscrivermi alle magistrali perché
così avrei avuto il vantaggio di finire un anno prima.
I miei genitori non erano in grado di darmi consigli al
riguardo ed io credetti che il frequentare l'istituto magistrale non mi avrebbe in seguito impedito di proseguire
gli studi nell'ambito scientifico.
Terminato il mio percorso di
studi alle magistrali, mi iscrissi al corso propedeutico per poter accedere
alla facoltà di matematica; durante tale corso però le ore di matematica e di fisica
erano troppo poche per poter colmare le profonde lacune lasciate dalle
magistrali che prevedevano un programma che non affrontava
né analitica né tanto meno analisi.
Le prime lezioni all'università furono traumatiche: la docente di analisi
parlava di cose che non conoscevo mentre vedevo i miei compagni di corso (quasi
tutti provenienti dallo scientifico) che annuivano, padroni degli argomenti trattati.
lo però non sono certo il tipo che si scoraggia!
Mi procurai i libri di matematica dello scientifico ed
iniziai a studiare il programma di analitica, di trigonometria ed infine
affrontai l'analisi.
Certamente non fu facile, ma la soddisfazione fu grande.
Oggi sono
un'insegnante prossima alla pensione e felice delle mie scelte.
Quando i miei alunni
mi confidano che vorrebbero iscriversi ad una facoltà scientifica li esorto a
farlo ed a studiare con passione e spero di aver dato loro delle basi solide
che permettano loro di non fare la fatica che ho fatto io.
Testimonianza
5
L’educazione delle ragazze
Nei dibattiti sul divario digitale di genere mi viene spesso
chiesto di dare qualche consiglio alle ragazze per aiutarle, se mai ce ne fosse
ancora bisogno, a conquistare il loro posto nel mondo anche in ruoli che
l'immaginario collettivo assegna ai maschi. Lo faccio con le parole di una
grande informatica, Grace Hopper, eterna ragazza che incoraggiò molte
ragazze ad affermare i loro valori.
Ho scelto qui di seguito alcune affermazioni celebri di
Grace e le commento a modo mio.
“La programmazione è simile alla preparazione della cena:
bisogna pianificare ed avviare le azioni affinché tutto sia pronto al momento
del pasto"
Le donne sono abituate a tenere sotto controllo molti
aspetti della vita, anche se apparentemente slegati: riescono ad occuparsi
attentamente della famiglia pur avendo un lavoro impegnativo, a fare
commissioni mentre vanno in palestra, perfino a far funzionare il cervello
indossando scarpe coi tacchi. Le donne trascorrono giornate complicate e dense
di impegni, ma alla fine riescono a far sedere intere famiglie intorno ad un
tavolo per la cena, magari ordinando pizze online al momento giusto. Inoltre,
le ragazze sanno sempre dove sono le cose, aprono i cassetti giusti e si
raccapezzano anche nelle trousse variopinte per il trucco.
Queste capacità sono molto simili a quelle necessarie per
scrivere e far funzionare programmi e, in generale, per sviluppare sistemi
informativi dove occorre valutare molte variabili variamente collegate fra di
loro.
Usate queste competenze per diventare brave professioniste e
portate nel vostro lavoro tutte le capacità che avete acquisito nella vita
personale e domestica. Se avete figli, considerate la maternità come un Master
in organizzazione aziendale e fatevene vanto.
“Le donne finiscono per essere delle brave programmatrici
per una ragione in particolare: sono abituate a portare a termine le cose,
mentre gli uomini non lo fanno molto spesso"
I maschi, anche i migliori, lasciano molto spesso qualcosa
indietro: un calzino sul pavimento, il fornello incrostato, un lavoretto che
non riescono mai a completare. Anche se si sforzano, fanno fatica a portare a
termine proprio tutto, mentre noi ragazze, come tante apine operose,
raccogliamo, lucidiamo, corriamo a destra e a manca per terminare ogni cosa, in
modo che alla fine le cose siano tutte a posto. Così operiamo a casa con figli
o mariti e così facciamo al lavoro con colleghi brillanti ma incompleti.
Le cose stanno cambiando, ma il divario nelle competenze di
base rimane, quindi è bene farsene una ragione e pretendere parità senza
accanirsi sui dettagli, che tanto è una battaglia persa. Però, già che certi
compiti ci toccano, tanto vale far sapere che li svolgiamo nel migliore dei
modi e che siamo brave.
Continuate pure a portare a termine diligentemente i
compiti, ma fatelo anche sapere. Lavorate seriamente come le api, ma qualche
volta cantate come le cicale: l'autoaffermazione unita ad un pizzico di vanto
delle proprie capacità non è peccato e spesso aiuta.
“Una nave in porto è sicura, ma le navi non sono fatte
per stare in porto. Navigate in mare aperto e fate cose nuove”
Da sempre le bambine vengono educate alla prudenza, viene
loro richiesto di non scatenarsi in giochi da maschi e di mantenere un contegno
rispettoso di tutto quanto - persone e cose - si trova intorno a loro.
Tradizionalmente questo era un valore mirato alla conservazione della specie,
che faceva sì che le femmine lavorassero per la continuità e la salvaguardia
della prole, mentre ai maschi era permesso di lanciarsi in avventure di ogni
genere.
Oggi il mondo è cambiato, grazie anche alla rivoluzione
digitale innescata e cavalcata da molte donne, quindi questi parametri
educativi di genere possono e debbono essere adeguati. Le ragazze non hanno più
motivo per restare protette al riparo della caverna, ma possono lanciarsi in
avventure dove ci si fa valere non con i muscoli ma con i neuroni.
Fate le vostre esperienze con coraggio ed entusiasmo.
Abbiate veramente paura di poche cose: il lupo e il bruto, l'ISIS e l'AIDS, ma
vincete la paura di fare brutta figura, di mostrarvi poco carine, di essere
troppo grasse o di entrare in territori tradizionalmente maschili.
"La frase più pericolosa in assoluto è:
"Abbiamo sempre fatto così”
Se le donne non si fossero ribellate contestando ruoli
tradizionali, indosserebbero ancora il burqa. Se avessero sempre ascoltato
accettato e ripetuto i rituali delle loro antenate, non sarebbero mai arrivate
nel mondo del lavoro riconosciute e rispettate.
Eppure la strada da fare è ancora lunga e il soffitto di
cristallo incombe. Oggi molte ragazze eccellenti negli studi ancora non
riescono ad affermarsi nelle aziende come meriterebbero e si vedono scavalcate
nella carriera da maschi meno bravi di loro. Molte barriere oggettive sono
state abbattute, ma restano dentro ciascuna di noi remore a superare i limiti
percepiti perché "abbiamo sempre fatto così".
Liberatevi di queste remore e fate sempre qualcosa di
diverso: mettete in discussione quelle che sembrano verità rivelate e
immutabili, provate a ragionare con scarpe diverse, cambiate rossetto e punto
di vista.
“E' più facile chiedere scusa che chiedere permesso”
Un mondo guidato dalle donne sarebbe certamente basato su
criteri diversi, come la condivisione e la cooperazione, ma per conquistare la
nostra fetta di potere dobbiamo imparare a giocare ai giochi che oggi sono
dominanti, ossia quelli da maschi.
Questo implica un comportamento più assertivo, una più
decisa affermazione di sé e, qualche volta, anche un calcio negli stinchi con
il rischio del cartellino giallo. Pazienza. Ci sono situazioni in cui, per
raggiungere un obiettivo, conviene rischiare di commettere un fallo che
subirlo, senza neanche poi ricevere le dovute scuse.
Abbiate coraggio nelle vostre azioni e, quando siete
convinte di qualcosa, andate avanti a combattere la vostra battaglia anche se
non avete il permesso dei professori, del parroco o della mamma (tanto lei ve
lo darà sempre).
foto
da Archivio Soroptimist International d'Italia
Testimonianza
6
Mi chiamo Stefania, classe 1969 e sono un Fisico, in realtà
un Fisico Medico; lavoro in ospedale e mi occupo di tutti gli aspetti di fisica
che riguardano la salute, più precisamente mi occupo di radiazioni (ionizzanti
e non) . La scelta professionale soprattutto se rapportata all’epoca storica é
stata per quei tempi un po' controcorrente, in quanto le donne laureate in Fisica
perseguivano poi la carriera dell’insegnamento. Io invece dopo aver conseguito
la maturità classica al liceo classico “ Cavour” di Torino ed essermi
appassionata alla fisica grazie ad un insegnante illuminato, mi sono iscritta a
Fisica e dopo la Laurea ho scelto di frequentare la Scuola di Specialità in
Fisica Medica a Roma, unica possibilità per poter poi lavorare in ospedale.
Volevo lavorare in un ambiente che mi permettesse in qualche modo di fare
ricerca, che non fosse mera applicazione dei concetti imparati sui banchi
dell’Università
Dopo 20 anni il mio bilancio è più che positivo, ho avuto la
fortuna di lavorare in un ambiente culturalmente attivo, in cui
l’aggiornamento e la ricerca costituiscono la parte principale del lavoro
quotidiano, in cui anche la routine non è mai banale anche solo per il fatto
che nella diagnosi e nella terapia ogni paziente è un caso a se.
Mi occupo insieme ad altri colleghi, per lo più maschi, di
radiologia , di medicina nucleare e di radioterapia e il confronto ci permette
di crescere quotidianamente migliorando le nostre conoscenze.
Per me è stata una scelta felice, usando una frase un po'
retorica, posso dire che mi occupo di tematiche per le quali ho studiato,
tuttavia al momento, tenuto conto del periodo storico e dei conseguenti” tagli
alla sanità” di cui tanto si sente parlare, questo tipo di mercato risulta un
po' saturo.
Professionalmente la ritengo ancora una scelta valida perché
permette di fare un lavoro intellettualmente stimolante.
Testimonianza
7
Fin dalle elementari, forse fin dalla scuola materna, ho intuito che studiare era uno strumento di auto realizzazione. Non a caso il
mio mito adolescenziale è stato "Lettera ad una professoressa" di Don
Lorenzo Milani
Naturalmente c'erano anche considerazioni pragmatiche:
prendere dei bei voti, essere riconosciuti e apprezzati, aumentava il mio senso
di sicurezza e di accettazione, sconfinando nell'illusione di crearmi
un'identità.
A questo si è affiancato il bisogno quasi fisico della
lettura, mosso da nessun'altra esigenza se non quella di scoprire il mondo,
soprattutto l'animo umano. Per questo sono d'accordo con l'affermazione di una
libraia che rispondeva ad una madre preoccupata del fatto che la propria figlia
leggesse solo libri di fantasy: "Non importa come ci si avvicina alla
lettura, l'importante è iniziare a leggere. La qualità verrà,
inevitabilmente..."
Con tutti i limiti e motivazioni meno nobili di quanto
volessi ammettere, ho sempre studiato e questo ha innescato un circolo
virtuoso. Studiando ho imparato non solo
ad allargare la mia mente ma anche a capire il valore dell'autodisciplina, a reggere la
frustrazione degli insuccessi, a capire...da autodidatta l'importanza di un
metodo nell'affrontare i problemi, anche se
avrei risparmiato tempo, fatica e tanti errori se avessi trovato un
insegnante disposto a trasmettermelo.
Dopo le scuole medie avevo deciso che avrei fatto il
liceo e grazie al fatto che avevo avuto una pessima insegnante di matematica
scelsi il liceo classico, spinta anche
da una fascinazione per le lingue antiche, la letteratura e la filosofia.
Pur essendo un liceo di antiche tradizioni (il liceo
Parini di Milano) a parte gli anni del ginnasio, imparai relativamente poco,
visto che erano anni in cui si faceva una grande confusione tra contestazione
di modelli obsoleti e superficialità nell'apprendere. Nel panorama sfilacciato
di quei cinque anni spiccarono due insegnanti donne: l'insegnante di latino e
greco del ginnasio e quella di matematica e fisica del liceo. Odiavo la matematica
ma Ernestina Fiocca, una delle prime donne laureate in fisica in Italia, che ci
raccontava le scoperte dei neutrini di Fermi, con il suo rigore e la sua
passione capovolse in me il pregiudizio che la matematica fosse un angoscioso
buco nero, a me inaccessibile. E così quattro anni dopo mi laureai in Fisica
con 110 e lode.
Anche allora non c'erano spazi all'Università se non
per raccomandati o asceti così trovai lavoro come informatica, prima a Milano
in un'azienda di telecomunicazioni del gruppo Fiat e successivamente in
Olivetti. Per questa ragione, spinta anche dal desiderio di allontanarmi da
Milano che non è mai stata nelle mie corde, mi trasferii in Canavese.
Ivrea e l'Olivetti furono una scoperta. Negli anni 80
il modello organizzativo del lavoro Fiat e Olivetti erano due sistemi a
intersezione nulla. Mi ritrovai -casi buffi della vita- nel gruppo di punta
della Ricerca & Sviluppo software il cui capo era un mio professore
universitario.
Adesso mi rendo conto che in realtà era un ambiente
fortemente influenzato dal testosterone in cui il modo di affrontare i problemi
delle donne era visto come esoterico o al massimo di utilità ancillare ma
allora, dopo la claustrofobica e asfittica esperienza Fiat, mi sembrava
entusiasmante.
In ogni caso riuscii a convincere i miei capi a
mandarmi nel centro di ricerca di Cupertino nel cuore della Silicon Valley.
L'edificio in Deanza Boulevard sorgeva dove oggi c''è il quartiere generale
della Apple. Questo per far capire cosa era l'Olivetti allora...
Nell'azienda ho passato 16 anni, a volte frustranti, a
volte entusiasmanti, a seconda del periodo e soprattutto del capo che mi
trovavo. Perché per me una cosa è chiara: per poter lavorare bene ho bisogno
che ci siano gli strumenti giusti e il giusto grado di libertà per poter
esprimere la mia creatività.
Dal punto di vista delle qualità personali messe in
gioco, io non vedo alcuna differenza tra la vita personale o sociale e il
lavoro. Ogni situazione è importante per conoscersi, sviluppare il proprio
potenziale e imparare la difficile arte della collaborazione. Di questo mi sono
ricordata quando io stessa, In Olivetti prima e nelle aziende successive dopo
(multinazionali o start up) mi sono trovata a gestire delle persone.
I colleghi o i
capi peggiori sono quelli che coltivano innanzitutto la propria affermazione individuale,
individui spesso brillanti o addirittura geniali ma a causa della loro
insicurezza dotati di ego ipertrofico che li porta a concepire il lavoro come
un campo di battaglia in cui esibire la propria superiorità e in cui la parola
condivisione è un ossimoro.
Al di là del limite ovvio delle generalizzazioni posso
dire che la maggior parte delle donne con cui ho lavorato avevano una
caratteristica in più rispetto ai colleghi/capi uomini: un'idea del lavoro
intesa come bene comune e la convinzione che solo un approccio collaborativo
riusciva a costruire un risultato maggiore della somma dei singoli sforzi mentre lo scontro tra menti, anche di alto
profilo, si riduceva alla fine in uno
spreco di energie.
Recentemente è uscito uno studio della Harvard
Business School in cui si dimostra che persone competenti, addirittura geniali,
ma non collaborative comportano alla fine una perdita (quantificabile
nell'ordine del 13%) del profitto di un'azienda.
Nelle mie varie esperienze lavorative (Fiat, Olivetti,
Infostrada, una start up Internet, CSI, Fondazione Adriano Olivetti...e
finalmente libera professione) mi sono spesso confrontata sul tema donne e
carriera o meglio ostacoli alla carriera.
Sinteticamente posso dire che anche in Olivetti, che nell'elenco sopra citato era certamente
l'ambiente più illuminato, le donne erano discriminate. Non è una percezione
soggettiva: basta guadare le percentuali risibili di donne arrivate alla
dirigenza. Non solo -e il fenomeno è noto da tempo-spesso le donne arrivate in
posizioni dirigenziali esacerbato molti degli atteggiamenti competitivi del
mondo maschile. Il fenomeno è noto e spiegabile con la fatica sostenuta per
arrivare in quella posizione. "Indietro sui tacchi a spillo" è il titolo azzeccato di un libro che utilizza
i personaggi di Ginger Rogers e Fred Astaire, entrambi fantastici ballerini, ma
con posizioni abissalmente diverse: per Ginger ballare voleva appunto dire sfidare in ogni istante la
precarietà della posizione (indietro e sui tacchi a spillo e possedere quindi
una capacità di equilibrio decisamente maggiore di quella del suo partner).
E a meno che non ci sia una famiglia ricca o
totalmente dedita alle spalle, le donne in tali posizioni non possono conciliare
la maternità con il lavoro. E quindi o si sfiniscono in un multitasking
impossibile da sostenere o rinunciano alla maternità. Specularmente molte
rinunciano alla carriera. In ogni caso si tratta di tagliare via una parte
fondamentale della propria vita.
Per questo se penso ad un colloquio avuto parecchi
anni fa con un capo del Personale che spiegava l'assenza di donne dirigenti con
la paura di mettersi in gioco e quindi con il rifiuto delle responsabilità...mi
viene da sorridere, per usare un eufemismo.
E' chiaro che il problema non è risolvibile da
un'azienda sola, per quanto aperta e innovativa possa essere. Il problema è
strutturale, dipendendo da un contesto sociale (servizi, agevolazioni)
e... soprattutto culturale. Avendo io
lavorato con donne e uomini del Nord Europa conosco bene l'equilibrio tra tempo
del lavoro e tempo della famiglia, quanto pesa culturalmente la collaborazione
tra i sessi, quali sono gli orari di lavoro. E infine i parametri di
valutazione del personale, basati sulla produttività e non sulla disponibilità
a fare le ore piccole alla scrivania.
Personalmente pur di fronte al dilemma
maternità-carriera io non ho voluto rinunciare a priori a nulla e quindi mi
sono trovata spesso in situazioni di stress emotivo e fisico acuto. Posso certamente
dire che le problematiche di lavoro erano ben più semplici che non l'incastro
dell'organizzazione familiare e dei turni delle babysitter con i ritmi
lavorativi.
In ogni caso anch'io ad un certo punto ho battuto la
testa contro il famoso soffitto di vetro ma non ho mai smesso di mettermi in
gioco. Ogni volta che cambiavo lavoro mi trovavo a dover studiare argomenti
nuovi, spesso complessi visto che mi occupo di tecnologia. E lì ho capito,
ancora una volta di più, l'importanza del benedetto metodo. Ma la sfida per me
non è solo ginnastica del cervello è anche sale della vita perché sono convinta
che si lavora bene se ci si diverte, se si vede l'utilità di quello che si fa e
se si sperimentano limiti e qualità personali.
Ora ho una figlia che come me ha scelto in totale
autonomia una facoltà scientifica, per quanto anche lei abbia dovuto fare i
conti con un approccio iniziale alla matematica un po' problematico.
La cosa mi rende fiera perché sono convinta che le
donne che da sempre hanno coltivato i campi delle diverse intelligenze
(emotive, relazionali, ecc.) se decidono di cimentarsi con l'intelligenza
logico-matematica non possono che guadagnarci e quindi incidere positivamente
nella società perché una caratteristica femminile è quella di armonizzare
elementi differenti.
Da alcuni punti di vista il mondo del lavoro adesso è
ancora più difficile per le donne, almeno in Italia. Ma nella generazione di
mia figlia trovo una consapevolezza e quindi un coraggio più esplicito, meno
tormentato. In qualche modo hanno dei modelli di autorevolezza al femminile a
cui ispirarsi, molto più rari per la mia generazione.
Testimonianza
8
Sono Gabriella T.L., così era scritto sul tabellone dei risultati della mia maturità scientifica. E tutti mi chiedevano cosa volesse dire T.L., erano semplicemente le iniziali degli altri miei due nomi. In quell'estate 1970 decisi cosa fare
all'Università: Fisica.
Erano gli anni della contestazione ed ogni facoltà aveva problemi di frequenza e di mantenimento di programmazione. Così decisi di
cercare una facoltà seria ed in cui gli studenti fossero seguiti con molta attenzione. Non ultima le prospettive di lavoro post laurea.
I quattro anni di studio sono stati impegnativi e non privi di un po' di preconcettiverso le ragazze ma la scelta si è rilevata corretta.
Il lavoro mi aspettava ed è stato subito a tempo pieno.
Le ore di laboratorio erano tante e faticose ma lì ho imparato a lavorare in
gruppo e a condividere le difficoltà. Ho anche imparato che non è importante il
risultato “giusto” ma la scelta delle strade per arrivare ad un
buon risultato.
Tutto ciò mi ha aiutato moltissimo nelle diverse situazioni lavorative in cui i
problemi sono pane quotidiano.
Sempre nell'ambito della Scuola, in cui sono stata docente di Matematica e
Fisica, ho avuto l'incarico di Segretario Regionale di uno dei Sindacati Scuola. Ho partecipato a varie sperimentazioni ed ho rappresentato la mia Regione in
seno all'Organo Collegiale nazionale al MIUR (Ministero Istruzione Università
Ricerca).
Ho mantenuto un vivo interesse per le cose difficili da risolvere e credo che alla base di una scelta di studi scientifici ci debba essere molta curiosità e voglia di rispondere ai
perché.
Testimonianza
9
La mia attività in ambito
scientifico è iniziata 40 anni fa. Mi sono laureata in Ingegneria Chimica dopo
il conseguimento del diploma di maturità scientifica.
La scelta di questa facoltà
universitaria è stata dettata dalla predisposizione e dall’interesse per le
materie scientifiche e dalla necessità di trovare un buon lavoro dopo la
laurea, provenendo da una famiglia non abbiente. L’aspetto tecnologico e
applicativo della professione di ingegnere, unitamente alla possibilità di
viaggiare, mi avevano fatto preferire ingegneria ad altre facoltà, come chimica
o fisica.
Ritengo che si sia trattato di
un’ottima scelta, perché mi ha permesso di trovare un buon lavoro e soprattutto
di operare nell’ambito della ricerca scientifica.
Nel 1980 le ragazze iscritte al
primo anno di ingegneria chimica al Politecnico di Torino erano circa il 4%,
tutte hanno portato a termine il loro corso di studi e tutte continuano oggi a
lavorare. Solo io mi sono fermata all’Università. Abbiamo faticato tanto e quanto
i nostri compagni di sesso maschile e, in generale, siamo state trattate con
rispetto e con simpatia, forse per la buona qualità dei nostri appunti..
Dall’indagine di Alma Laurea del giugno 2015 emerge come
attualmente: […] rispetto al complesso
degli ingegneri, tra i laureati in ingegneria chimica siano maggiormente
presenti le donne e i cittadini stranieri: rispettivamente il 43% a fronte del
25%, il 9% contro il 5%. Gli ingegneri chimici hanno inoltre performance di
studio più brillanti dei loro colleghi: si laureano mediamente con voti più
alti (107,4 contro 106,2) e in minor tempo (entro i termini previsti
dall’ordinamento, il 51% contro il 40,5%) e possono contare su un maggior
numero di esperienze di studio all’estero e di tirocini (rispettivamente il 29%
contro il 21% e il 54% contro il 50%). Inoltre sono maggiormente interessati a
proseguire la propria formazione dopo la laurea magistrale: il 31% contro il
24% dei loro colleghi ingegneri.
Ho lavorato presso l’industria in
un centro di ricerca e, successivamente, ho conseguito il Dottorato di Ricerca
in Ingegneria Chimica, insegnando anche Chimica al Liceo per potermi mantenere
agli studi. Durante questo percorso, non ho incontrato grossi ostacoli legati
alla mia appartenenza di genere. Spesso venivo chiamata Simonetta anziché
ingegnere, ma, all’epoca, un sostantivo maschile su un soggetto di sesso
femminile suonava esotico.
Dopo una formazione post dottorale in Francia e in
Australia, durante la quale l’essere donna ha talvolta facilitato i rapporti
interpersonali, ho preso servizio presso una struttura universitaria, dove
opero attualmente come ricercatrice e professore aggregato. Sono titolare di
corsi universitari e sono co-autrice di 70 pubblicazioni scientifiche.
In ambito accademico le donne
sono formalmente equiparate agli uomini. Nell’Ateneo dove lavoro il corpo
docente/ricercatore conta circa il 27% di donne (mentre nello staff
amministrativo la percentuale di donne sale al 58%) e la composizione degli
organi di governo è ancora più sbilanciata. Credo che questo sia un dato da non
sottovalutare e che sia necessaria una riflessione su come promuovere la
presenza del genere femminile nei ruoli istituzionali. Infine, una dottoranda
viene penalizzata quando resta incinta, perché deve sospendere l’attività di
ricerca per almeno 6 mesi senza percepire la borsa di studio. Anche questa
realtà deve far riflettere.
Come volontaria di un servizio
missionario, mi sono occupata di progetti di sviluppo tecnologico sostenibile
per paesi emergenti. Ho operato in realtà sottosviluppate dove l’agire
femminile è subordinato e confinato all’ambito familiare. Quasi sempre sono
stata coadiuvata da collaboratori locali rispettosi del mio ruolo. Quando
questo non è avvenuto ho interrotto la collaborazione.
Sono stata indirizzata, motivata
e sostenuta dalla famiglia d’origine a intraprendere studi di carattere
scientifico. Non mi sono sposata e non ho avuto figli, il mio lavoro mi
appassiona, amo le sfide e l’avventura e ho un carattere forte e volitivo, che
talvolta viene considerato duro e quasi maschile…
E a proposito di comportamento
legato al genere, chiudo citando uno studio che mi ha incuriosito, condotto da
una ricercatrice della Harvard University.
La neuro-endocrinologia ha
dimostrato che negli animali e negli esseri umani, durante lo sviluppo del
cervello, si creano circuiti maschili in un embrione maschio e femminili in uno
femmina, a causa di condizionamenti ormonali intrauterini. Però, come
sembra dimostrare uno studio di Catherine Dulac della Harvard University di
Boston, almeno nei topi, c'è un
unico cervello maschile e
femminile, 'bisex', in quanto i
circuiti neurali maschili e femminili coesistono e sono spenti o accesi
dall'organo vomeronasale (OVN),
stimolato da input sensoriali esterni. L’OVN è collegato attraverso
terminazioni nervose all'ipotalamo. La sua funzione è quella di captare i
feromoni emessi da animali o umani, inviando al cervello i messaggi veicolati
da queste molecole. Lo studio conferisce all'OVN un'ulteriore importante funzione:
controllare il cervello per fargli
accendere o spegnere circuiti neurali attuatori di comportamenti maschili o femminili.
I condizionamenti ambientali,
educativi e culturali influenzano pesantemente l’attitudine e la volontà a
svolgere lavori in ambito S.T.E.M. Nella cultura popolare questi ultimi vengono
considerati elitari, difficili e impegnativi, soprattutto per le donne che
metteranno al mondo figli. Mi chiedo se il lavoro di un’operaia non sia meno
impegnativo.
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